Madonna della Scala
La Madonna della Scala è un bassorilievo marmoreo (55,5x40 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1491 circa e conservata a Casa Buonarroti a Firenze.
L'opera è menzionata per la prima volta nell'edizione del 1568 delle Vite di Giorgio Vasari, come in casa di Lionardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, il quale la donò poi nel 1566 a Cosimo I de' Medici. Nel 1616 i Granduchi la restituirono alla famiglia, restando da allora nel loro palazzo familiare in via Ghibellina, che oggi ospita il museo di Casa Buonarroti.
Superate ormai le ipotesi che collocavano la lastra a non prima del 1495, l'opera è oggi considerata come il primo lavoro pervenutoci di Michelangelo, databile al 1492 circa.
L'opera è un evidente omaggio allo stiacciato di Donatello, come annotò anche Vasari, sia nella tecnica che gradua i piani con variazioni millimetriche di spessore, sia nell'iconografia, a partire proprio dal motivo della scala con gradini pronunciati e corrimano in scorcio, visibile ad esempio nelBanchetto di Erode a Lilla, che sfondano spazialmente aprendo una via di drammatica fuga prospettica.
La figura della Madonna, seduta sopra un masso squadrato e vista di profilo mentre guarda lontano, occupa tutta l'altezza del rilievo, da un margine all'altro, con una severità e una monumentalità che ricorda le steli classiche. Molto originale è la composizione del gruppo sacro, al tempo stesso bloccato e dinamico, con la Vergine col busto eretto e lo sguardo fisso lontano, in attitudine profetica, mentre solleva un lembo della veste per allattare o proteggere il figlio assopito, e genera un movimento spirale grazie alla disposizione a contrapposto degli arti: Gesù ha infatti un braccio lasciato andare dietro la schiena e Maria arriva ad intrecciare i piedi, mostrando la pianta del sinistro e rompendo la staticità del piano liscio del bassorilievo. La mano destra girata in fuori venne in seguito usata più di una volta dall'artista per simboleggiare l'abbandono del corpo nel sonno o nella morte, come nel Ritratto di Lorenzo de' Medici duca di Urbino o nella Pietà Bandini.
Pronunciata è la muscolatura del Bambino e la presa di Maria, soprattutto con le grandi mani che, grazie al trattamento differenziato delle superfici, fanno apparire vigoroso un gesto semplice e quotidiano. Virtuoso è infine il ricadere del panneggio, soprattutto sul sedile cubico, del quale segue la forma con grande realismo.
Sulla sinistra, sulla scala che dà il nome al rilievo, si vedono due putti appena sbozzati in atteggiamento di danza o di lotta e un altro che, sporgendosi sul corrimano, tende, insieme a una quarta figura posta dietro la Vergine, un drappo. Difficile è stabilire il significato di questa scena di sottofondo, forse un semplice esercizio di stile o un omaggio ai putti danzanti donatelliani.
L'opera è menzionata per la prima volta nell'edizione del 1568 delle Vite di Giorgio Vasari, come in casa di Lionardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, il quale la donò poi nel 1566 a Cosimo I de' Medici. Nel 1616 i Granduchi la restituirono alla famiglia, restando da allora nel loro palazzo familiare in via Ghibellina, che oggi ospita il museo di Casa Buonarroti.
Superate ormai le ipotesi che collocavano la lastra a non prima del 1495, l'opera è oggi considerata come il primo lavoro pervenutoci di Michelangelo, databile al 1492 circa.
L'opera è un evidente omaggio allo stiacciato di Donatello, come annotò anche Vasari, sia nella tecnica che gradua i piani con variazioni millimetriche di spessore, sia nell'iconografia, a partire proprio dal motivo della scala con gradini pronunciati e corrimano in scorcio, visibile ad esempio nelBanchetto di Erode a Lilla, che sfondano spazialmente aprendo una via di drammatica fuga prospettica.
La figura della Madonna, seduta sopra un masso squadrato e vista di profilo mentre guarda lontano, occupa tutta l'altezza del rilievo, da un margine all'altro, con una severità e una monumentalità che ricorda le steli classiche. Molto originale è la composizione del gruppo sacro, al tempo stesso bloccato e dinamico, con la Vergine col busto eretto e lo sguardo fisso lontano, in attitudine profetica, mentre solleva un lembo della veste per allattare o proteggere il figlio assopito, e genera un movimento spirale grazie alla disposizione a contrapposto degli arti: Gesù ha infatti un braccio lasciato andare dietro la schiena e Maria arriva ad intrecciare i piedi, mostrando la pianta del sinistro e rompendo la staticità del piano liscio del bassorilievo. La mano destra girata in fuori venne in seguito usata più di una volta dall'artista per simboleggiare l'abbandono del corpo nel sonno o nella morte, come nel Ritratto di Lorenzo de' Medici duca di Urbino o nella Pietà Bandini.
Pronunciata è la muscolatura del Bambino e la presa di Maria, soprattutto con le grandi mani che, grazie al trattamento differenziato delle superfici, fanno apparire vigoroso un gesto semplice e quotidiano. Virtuoso è infine il ricadere del panneggio, soprattutto sul sedile cubico, del quale segue la forma con grande realismo.
Sulla sinistra, sulla scala che dà il nome al rilievo, si vedono due putti appena sbozzati in atteggiamento di danza o di lotta e un altro che, sporgendosi sul corrimano, tende, insieme a una quarta figura posta dietro la Vergine, un drappo. Difficile è stabilire il significato di questa scena di sottofondo, forse un semplice esercizio di stile o un omaggio ai putti danzanti donatelliani.
Battaglia dei centauri
La Battaglia dei centauri è un altorilievo marmoreo (84,5x90,5 cm) di Michelangelo Buonarroti, databile al 1492 circa e conservato nella Casa Buonarroti a Firenze.
Di poco posteriore alla Madonna della Scala, la Battaglia dei centauri è databile agli anni della formazione al giardino di San Marco dello scultore adolescente. Secondo Condivi e Vasari l'opera, la prima di una lunga serie di incompiuti, fu eseguita per Lorenzo il Magnifico su un soggetto proposto da Angelo Poliziano. I due biografi non concordano sull'identificazione di questo soggetto, che per il Condivi sarebbe il "Ratto de Deianira e la zuffa de Centauri" mentre per il Vasari è la "Battaglia di Ercole coi Centauri". L'ipotesi più probabile, nonostante il titolo ormai usato in tutta la letteratura, sembra essere il primo, poiché qua e là si scorge anche qualche donna: in alto a sinistra e a destra, dietro l'uomo dal torso ben tornito.
Altri studiosi hanno ipotizzato che il rilievo, nel dettaglio, rappresentasse le favole di Igino, Teseo in Dante, Teseo contro i centauri, o il ratto di Ippodamia da parte del centauro Eurito durannte le sue nozze con Piritoo, che diede origine alla battaglia fra Centauri e Lapiti, come descritto nelle Metamorfosi di Ovidio (libro XIII).
L'opera è da sempre ricordata nel palazzo dei Buonarroti.
La lastra, inquadrata da una fascia irregolare, mostra una massa di figure impegnate in una confusa lotta. Al centro spicca un giovane con il braccio alzato, nella posizione che nei sarcofagi romani era riservata ai generali a cavallo. Attorno a lui si sviluppa un groviglio di corpi che, nelle figure più sporgenti, crea una sorta di piramide visiva che ha il vertice proprio nella sua testa. Tra questi personaggi più spiccati della fascia mediana si vedono, da sinistra, un uomo canuto che sta per scagliare una grossa pietra squadrata, un uomo raffigurato interamente mentre compie una torsione verso destra, e una zuffa di almeno cinque personaggi principali le cui braccia compongono un nodo indistricabile: uno di spalle trascina per i capelli un secondo, che è tenuto alla vita da un terzo uomo che col braccio destro afferra le spalle di un gruppo di due figure, una donna che strozza col braccio un uomo che tenta di liberarsi. Più isolata la battaglia infuria tra figure dal rilievo meno pronunciato; più in basso si scorgono i perdenti: un uomo seduto che si ripara la testa, un centauro abbattuto, un uomo che si sta accasciando e due lottatori uno sopra l'altro, in posizione pressoché identica, con quello dietro che si sta avventando su quello davanti armato di un sasso.
Le figure si confondono le une con le altre, talvolta emergendo con forza dallo sfondo, talvolta appena sporgenti, con una straordinaria abilità nello sfruttare le potenzialità del marmo per creare diversi piani spaziali.
A parte l'ispirazione mitologico-letteraria è chiaro che all'artista interessava soprattutto esplorare il tema del nudo umano, analizzato in pose diverse e in differenti situazioni di tensione muscolare, che divenne in seguito uno dei temi più peculiari della sua arte, basti pensare al Giudizio Universale.
Per questo rilievo Michelangelo si rifece sia ai sarcofagi romani, sia alle formelle dei pulpiti di Giovanni Pisano, e guardò anche al contemporaneo rilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni, suo maestro al giardino di San Marco con una battaglia di cavalieri (oggi al Bargello), a sua volta ripreso da un sarcofago del Camposanto di Pisa. Ma appare evidente che per Michalngelo i modelli, soprattutto quelli antichi, non sono un repertorio in cui pescare per imitare, bensì il frutto di miti e passioni umane, la cui espressione, attualizzata con consapevolezza, gli permetteva di ricreare l'antico con stupefacente virtuosismo[1].
I riferimenti sono però sorpassati dal giovane artista, che esalta il dinamismo e l'anatomia, con gesti fluidi e una notevole efficacia compositiva.
Di poco posteriore alla Madonna della Scala, la Battaglia dei centauri è databile agli anni della formazione al giardino di San Marco dello scultore adolescente. Secondo Condivi e Vasari l'opera, la prima di una lunga serie di incompiuti, fu eseguita per Lorenzo il Magnifico su un soggetto proposto da Angelo Poliziano. I due biografi non concordano sull'identificazione di questo soggetto, che per il Condivi sarebbe il "Ratto de Deianira e la zuffa de Centauri" mentre per il Vasari è la "Battaglia di Ercole coi Centauri". L'ipotesi più probabile, nonostante il titolo ormai usato in tutta la letteratura, sembra essere il primo, poiché qua e là si scorge anche qualche donna: in alto a sinistra e a destra, dietro l'uomo dal torso ben tornito.
Altri studiosi hanno ipotizzato che il rilievo, nel dettaglio, rappresentasse le favole di Igino, Teseo in Dante, Teseo contro i centauri, o il ratto di Ippodamia da parte del centauro Eurito durannte le sue nozze con Piritoo, che diede origine alla battaglia fra Centauri e Lapiti, come descritto nelle Metamorfosi di Ovidio (libro XIII).
L'opera è da sempre ricordata nel palazzo dei Buonarroti.
La lastra, inquadrata da una fascia irregolare, mostra una massa di figure impegnate in una confusa lotta. Al centro spicca un giovane con il braccio alzato, nella posizione che nei sarcofagi romani era riservata ai generali a cavallo. Attorno a lui si sviluppa un groviglio di corpi che, nelle figure più sporgenti, crea una sorta di piramide visiva che ha il vertice proprio nella sua testa. Tra questi personaggi più spiccati della fascia mediana si vedono, da sinistra, un uomo canuto che sta per scagliare una grossa pietra squadrata, un uomo raffigurato interamente mentre compie una torsione verso destra, e una zuffa di almeno cinque personaggi principali le cui braccia compongono un nodo indistricabile: uno di spalle trascina per i capelli un secondo, che è tenuto alla vita da un terzo uomo che col braccio destro afferra le spalle di un gruppo di due figure, una donna che strozza col braccio un uomo che tenta di liberarsi. Più isolata la battaglia infuria tra figure dal rilievo meno pronunciato; più in basso si scorgono i perdenti: un uomo seduto che si ripara la testa, un centauro abbattuto, un uomo che si sta accasciando e due lottatori uno sopra l'altro, in posizione pressoché identica, con quello dietro che si sta avventando su quello davanti armato di un sasso.
Le figure si confondono le une con le altre, talvolta emergendo con forza dallo sfondo, talvolta appena sporgenti, con una straordinaria abilità nello sfruttare le potenzialità del marmo per creare diversi piani spaziali.
A parte l'ispirazione mitologico-letteraria è chiaro che all'artista interessava soprattutto esplorare il tema del nudo umano, analizzato in pose diverse e in differenti situazioni di tensione muscolare, che divenne in seguito uno dei temi più peculiari della sua arte, basti pensare al Giudizio Universale.
Per questo rilievo Michelangelo si rifece sia ai sarcofagi romani, sia alle formelle dei pulpiti di Giovanni Pisano, e guardò anche al contemporaneo rilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni, suo maestro al giardino di San Marco con una battaglia di cavalieri (oggi al Bargello), a sua volta ripreso da un sarcofago del Camposanto di Pisa. Ma appare evidente che per Michalngelo i modelli, soprattutto quelli antichi, non sono un repertorio in cui pescare per imitare, bensì il frutto di miti e passioni umane, la cui espressione, attualizzata con consapevolezza, gli permetteva di ricreare l'antico con stupefacente virtuosismo[1].
I riferimenti sono però sorpassati dal giovane artista, che esalta il dinamismo e l'anatomia, con gesti fluidi e una notevole efficacia compositiva.
David
Il David è una celeberrima scultura, realizzata in marmo (h 410 cm, 517 con la base) da Michelangelo Buonarroti, databile tra il 1501 e l'inizio del 1504 e oggi conservata nella Galleria dell'Accademia a Firenze. Largamente considerato un capolavoro della scultura mondiale, è uno degli emblemi del Rinascimento, nonché simbolo di Firenze e dell'Italia all'estero in generale.
Il David ritrae l'eroe biblico nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia; fu originariamente collocata in piazza della Signoria a Firenze come simbolo della Repubblica fiorentina stessa, vigile e vittoriosa contro i nemici.
Il David è da sempre considerato l'ideale perfetto di bellezza maschile nell'arte.Così come la Venere del Botticelli è considerata il canone di bellezza femminile. Poiché entrambe le opere sono conservate a Firenze, i fiorentini si vantano di possedere i canoni della bellezza artistica all'interno delle mura cittadine. Molti artisti e grandi esperti di arte ritengono che il David sia l’oggetto artistico più bello che sia mai stato creato dall’uomo.
Il 16 agosto del 1501 i consoli dell'Arte della Lana e gli Operai del Duomo di Firenze commissionarono a Michelangelo una statua di Re Davide, da collocare in uno dei contrafforti esterni posti nella zona absidale della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Si trattava di un'impresa colossale, che non aveva precedenti nell'arte rinascimentale, e che era già stata tentata due volte. L'enorme blocco di marmo bianco destinato all'opera era infatti già stato abbozzato prima da Agostino di Duccio nel 1463-1464 e poi da Bernardo Rossellino nel 1476, ma poi abbandonato da entrambi per le caratteristiche non ottimali del pezzo: si trattava di un problema di fragilità, dovuta alla scarsa qualità del marmo, e di forma del blocco, considerato troppo alto e stretto, insufficiente per un pieno sviluppo anatomico di una figura di tali dimensioni. Il blocco era specialmente friabile nella zona sotto l'attuale braccio sinistro, e si temeva che una volta scolpito non fosse in grado di reggere il peso della figura sulle sole gambe.
Nonostante le fonti tacciano al riguardo, è lecito pensare che il blocco dovesse presentare già alcune forme antropomorfe, per quanto parziali, tanto che i fiorentini erano soliti già chiamarlo "il Gigante".
Nonostante le difficili premesse Michelangelo, allora poco più che venticinquenne, non si scoraggiò e, conscio dell'enorme prestigio che gli avrebbe garantito un successo, accettò la sfida, affrontando il blocco che era definito "male abbozatum et sculptum", all'interno dell'Opera (l'attuale cortile del Museo dell'Opera del Duomo).
L'inizio del lavori di Michelangelo risale al 9 settembre 1501, quando l'artista provò la durezza del blocco sbozzandolo con qualche colpo di scalpello, per poi mettersi effettivamente all'opera il 13. Il 14 ottobre, probabilmente disturbato dagli occhi indiscreti di chi voleva vedere "il gigante" in lavorazione, fece costruire un recinto di tavole attorno al suo campo di lavoro.
Pare che il soggetto fosse già stato predefinito come nudo e in un'iconografia innovativa, senza la testa di Golia ai piedi (come nel David di Donatello e in quello diVerrocchio), quindi prima della micidiale sfida.
Il marmo presentava numerose venature dette "taròli", che Michelangelo provvide a stuccare e ricoprire con malta di calce restituendo alla superficie la levigatezza tipica delle sue sculture giovanili.
Vi lavorò per un totale di tre anni, creando un'opera leggendaria che conteneva nella sua vicenda tutte le premesse per il mito: l'enorme difficoltà tecnica, l'innegabile bellezza del risultato, capace di togliere il fiato ancora ai giorni nostri, e le numerose vicende che ne hanno segnato la storia.
L'esecuzione dovette essere circondata da un'aura di mistero e trepidante attesa nei fiorentini, consci dei successi romani dell'artefice e curiosi di sapere l'esito di una prova così difficoltosa. Lo stretto riserbo venne sciolto solo la vigilia della festa di San Giovanni, patrono cittadino, il 23 giugno 1503, quando venne aperto il recinto e invitata la popolazione ad ammirare il capolavoro ormai in via di completamento.
Il 25 gennaio 1504 la statua viene definita "quasi finita" e si procedette a nominare una commissione per deciderne la collocazione.
Era infatti chiaro che il risultato superava di gran lunga le aspettative e non era più adatto per i contrafforti del Duomo, ma idoneo piuttosto a una collocazione più ambiziosa, in piazza dei Priori, il cuore della vita politica cittadina: ciò venne proposto dal Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini, evidentemente rifacendosi a un proposito dello stesso Michelangelo, trasferendo il valore simbolico del David da un contesto religioso ad uno civile. Evidentemente le autorità repubblicane avevano immediatamente colto la forte simbologia politica del David: egli incarnava la figura del giusto che, armato di sola fionda e della fede in Dio, riesce a prevalere sul forte ma iniquo, immagine facilmente accostabile a quella di un buon governo, garante delle libertà e del bene comune, protetto dal favore divino. Non si poteva chiedere una migliore "insegna" per la Repubblica appena restaurata e per i suoi valori, dopo un periodo di forti turbolenze.
Nella commissione che doveva scegliere il luogo di esposizione dell'opera figuravano, tra gli altri, tutti gli artisti famosi attivi in città: Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Leonardo da Vinci, Pietro Perugino, Lorenzo di Credi, Antonio e Giuliano da Sangallo, Simone del Pollaiolo, Andrea della Robbia, Cosimo Rosselli, Davide Ghirlandaio, Francesco Granacci, Piero di Cosimo, Andrea Sansovino. Le ipotesi plausibili erano diverse: Botticelli, isolatamente, preferiva una collocazione nei pressi del Duomo; l'araldo del Comune, sostenuto in primis da Filippino Lippi, prevedeva una collocazione a lato della porta principale di Palazzo Vecchio, affacciata sulla piazza; altri suggerirono anche al centro del suo cortile; un'altra strada indicava invece una collocazione sotto la Loggia della Signoria.
Le ragioni della seconda opzione, proposta da Giuliano da Sangallo, erano essenzialmente conservative. A questa idea aderì Leonardo da Vinci, che prese parola per suggerire una collocazione dell'opera a ridosso della parete breve della loggia, incorniciata da una nicchia, "in modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali". Si trattava di un'ipotesi che relegava la statua in posizione defilata, equivocandone l'essenza fisica e ribaltandone i valori formali, in cui si è voluto leggere uno spunto polemico tra i due geni, tra i quali dovevano correre pessimi rapporti. Leonardo infatti scrisse che non apprezzava gli "eccessi" anatomici che fanno parte dello stile michelangiolesco e dei suoi seguaci, pur senza mai citare direttamente il rivale: in uno schizzo che fece del David si vede chiaramente come l'enfasi muscolare, calata nel suo stile morbido e soffuso, appare quanto mai retorica e fuori luogo.
In ogni caso la posizione leonardesca rimase minoritaria, optando infine per una collocazione di massimo risalto all'aperto, dominante e autorevole davanti a Palazzo Vecchio, al posto della Giuditta di Donatello.
Alla fine prevalse la posizione di Filippino.
L'enorme statua venne trasportata in quattro giorni fino al 18 maggio 1504, con una partecipazione di più di quaranta uomini, incaricati di trainare e sorvegliare lo scorrimento all'interno di una gabbia lignea, che teneva il marmo prudentemente staccato dal fondo, scorrendo su travi unte di grasso di sévo, per evitare al massimo vibrazioni che potessero danneggiarlo.
Durante il tragitto, in una pausa notturna un gruppo di giovani fedeli alla fazione filo-medicea, estromessa dal potere, aggredì la statua prendendola a sassate, in quanto simbolo riconosciuto del governo repubblicano: il valore simbolico dell'opera era già estremamente evidente.
Michelangelo rifinì la statua sul posto dipingendo in oro il tronco d'albero dietro la gamba destra e aggiungendo delle ghirlande di ottone con foglie in rame dorato che cingevano la testa e la cinghia della fionda.
La Giuditta venne spostata sotto la loggia l'8 giugno. Pochi giorni dopo, l'11, venne affidata l'esecuzione di una base adeguata a Simone del Pollaiolo e Antonio da Sangallo, così che l'8 settembre di quell'anno il Davidpoteva essere collocato al suo posto, "fornito e scoperto di tutto", esposto tuttavia agli agenti atmosferici. Il David venne rivolto a sud-ovest, in segno di sfida alle popolazioni nemiche pronte ad attaccare Firenze. Accanto a lui doveva essere posta anche un'altra statua, raffigurante Ercole, a simboleggiare la forza sia fisica (Ercole) che intellettuale (David) dei fiorentini e della Signoria, ma questa seconda statua non fu mai realizzata da Michelangelo e solo in seguito venne scolpita da Baccio Bandinelli.
Allo scultore vennero pagati, in tutto, 400 fiorini.
Il successo del David di Michelangelo fu immediato. L'umanista Pomponio Gaurico nel suo dialogo De Sculptura del 1504 lo porta come esempio di arte eccelsa, lo stesso fece Benedetto Varchi anni dopo mentre a testimonianza del mito che la statua incarnava nella cultura umanistica rinascimentale valgono le parole di Giorgio Vasarinelle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori nell'edizione del 1550 «[...] e veramente che questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si fossero [...] perché in essa sono contorni di gambe bellissime et appiccature e sveltezza di fianchi divine; né mai più s'è veduto un posamento sí dolce né grazia che tal cosa pareggi, né piedi, né mani, né testa che a ogni suo membro di bontà d'artificio e di parità, né di disegno s'accordi tanto. E certo chi vede questa non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o ne gli altri da qualsivoglia artefice».
Sin dai tempi della sua prima apparizione la statua del David venne celebrata come l'opera capace di mutare il gusto estetico del suo tempo e di affermarsi quale espressione ideale del Rinascimento, tutto questo grazie all'applicazione dello studio anatomico al fine di rendere con forme virili possenti e armoniche l'immagine del nudo eroico, la cui forma era la realizzazione fisica, di un complesso insieme di valori filosofici ed estetici. I Fiorentini si immedesimarono con l'aspetto atletico e fiero del giovane eroe interpretandolo come espressione della forza e della potenza della città stessa nel momento del suo massimo splendore, per i sostenitori della Repubblica divenne il simbolo della vittoria della democrazia sulla tirannide esercitata in precedenza dalla famiglia Medici.
Nel 1512 una saetta colpì il basamento, che preoccupò per le "crettature", cioè i segni di cedimento, all'altezza delle caviglie, ma in definitiva non ci furono danni.
Il 26 aprile del 1527 durante la seconda cacciata dei Medici da Firenze ci furono dei tumulti in città e un gruppo di repubblicani, asserragliati in Palazzo Vecchio, per difendersi dagli oppositori lanciarono dalle finestre pietre, tegole e mobili, che andarono a cadere anche sul David, causando gravi danni, quali la frantumazione del braccio sinistro in tre pezzi e la scheggiatura della fionda all'altezza della spalla. Giorgio Vasari e Francesco Salviati, devoti estimatori di Michelangelo, raccolsero personalmente i frammenti della statua e li nascosero in casa del Salviati. Con il ritorno del Granduca Cosimo I si provvide al restauro. I segni dell'episodio sono ancora visibili.
Nel 1813 il dito medio della mano destra fu ricostruito in seguito a un danneggiamento. Nel 1843 lo scultore Lorenzo Bartolini, direttore delle "Regie Fabbriche", incaricò Aristodemo Costoli del restauro, che fu eseguito con un metodo drastico di pulitura a base di acido cloridrico e di ferri taglienti per togliere le croste superficiali, intervento che nel corso degli anni si rivelò nefasto per i danni irreparabili alla superficie del marmo.
Il 29 agosto 1846 il fonditore Clemente Papi fece il calco in gesso che servì poi come base della futura gettatura in bronzo della copia che attualmente si trova in piazzale Michelangelo, sulla terrazza che domina Firenze.
Nel 1872 viste le condizioni precarie di conservazione fu deciso il ricovero della statua nella Galleria dell'Accademia a Firenze. Per accogliere la grande statua venne incaricato l'architettoEmilio De Fabris di costruire una nuova Tribuna scenograficamente posta al termine della Galleria dei Quadri antichi, con un'illuminazione propria, garantita in alto da un lucernario. Nell'agosto del 1873 la statua venne imbracata in un complesso carro ligneo, il cui modellino è visibile nel museo della Casa Buonarroti, e scorse su rotaie per le vie del centro fino all'Accademia, ancora una volta tra imponenti misure di sicurezza, accompagnata dal clamore popolare.
Nel museo restò però chiusa nella sua cassa per ben nove anni, in attesa del termine dei lavori alla Tribuna. Nel 1875, con le celebrazioni del IV centenario della nascita di Michelangelo si decise di creare una mostra con le riproduzioni in gesso dei suoi capolavori scultorei, e per l'occasione il David venne spacchettato provvisoriamente, entro la tribuna allestita con tendaggi che coprissero la zona al di sopra della trabeazione ancora in fase di edificazione.
Il 22 luglio 1882 il Museo michelangiolesco venne finalmente inaugurato e la statua rivelata alla fruizione del pubblico.
In piazza della Signoria venne collocata una copia nel 1910.
Nel 1991 un folle, Piero Cannata, danneggiò la statua con un martello, come era accaduto circa vent'anni prima alla Pietà vaticana. In confronto a quell'atto vandalico però, i danni al David furono assai più limitati, scheggiando l'alluce e le prime due dita del piede sinistro, che venne subito completato adoperando i frammenti originali e servendosi dei numerosi calchi esistenti per reintegrare la lacuna in maniera esatta.
Una nuova copia della statua è stata offerta dalla città di Firenze alla città di Gerusalemme nel 2004 per celebrare il terzo millennio dalla conquista della città da parte di David. La proposta ha scatenato la protesta di alcuni religiosi ortodossi che consideravano il nudo michelangiolesco non degno di un eroe biblico e anzi troppo vicino ad un ideale estetico classicista e dunque pagano; alla fine un compromesso è stato raggiunto, optando per una riproduzione totalmente vestita.
A partire dal 2003 è stato sottoposto ad un accuratissimo lavaggio e restauro a cura del laboratorio di restauro dell'Opificio delle pietre dure di Firenze (vedi sezione sottostante). Questo lungo lavoro è stato realizzato per celebrare il cinquecentenario della realizzazione dell'opera nel 2004. Al termine dei lavori sono stati esposti accanto al David opere ed installazioni di artisti contemporanei internazionali (fra i quali Jannis Kounellis), con un accostamento molto originale che ha suscitato clamore e interesse in tutto il mondo.
Nel 2008 il Comune di Firenze, guidato dall'allora sindaco Leonardo Domenici, propose un nuovo trasferimento del David per decongestionare il turismo nel centro cittadino, proponendo come sede alternativa la Stazione Leopolda. La proposta, presa più che altro come una provocazione, non venne ascoltata, ma fu all'origine di un contenzioso tuttora aperto tra Comune e Stato.
Con ricerche d'archivio fatte in quell'occasione, saltò infatti fuori che nell'atto di donazione di Palazzo Vecchio dallo stato al Comune (1871) era incluso l'Arengario (cioè la platea rialzata davanti al palazzo) e tutte le statue presenti, compreso quindi il David. Ciò ha indotto il neo-eletto sindaco Matteo Renzi a intraprendere una contesa legale con lo Stato rivendicando la proprietà della statua, che a oggi frutta circa 8 milioni d'euro all'anno in introiti legati agli ingressi alla Galleria dell'Accademia e al merchandising.
Dal canto suo lo Stato ha risposto, tramite i suoi legali, che la statua non era compresa nella donazione, non essendo elencata negli inventari, poiché era già sottinteso il suo trasferimento all'Accademia, al quale infatti il Comune allora non si oppose.
Il soggetto del David, fortemente radicato nella tradizione figurativa fiorentina, venne rielaborato evitando gli schemi compositivi consolidati, scegliendo di rappresentare il momento di concentrazione prima della battaglia. I muscoli del corpo sono poderosi ma ancora a riposo, tuttavia capaci di trasmettere il senso di una straordinaria potenza fisica. L'espressione accigliata e lo sguardo penetrante rivelano la forte concentrazione mentale, manifestando quindi la potenza intellettuale che va a sommarsi a quella fisica.
L'eroe biblico è rappresentato nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia, il gigante filisteo; nella mano destra, infatti, stringe il sasso con il quale sconfiggerà il nemico da lì a poco. Lo sguardo fiero e concentrato è rivolto al nemico, con le sopracciglia aggrottate, le narici dilatate e una leggera smorfia sulle labbra che forse tradisce un sentimento di disprezzo verso Golia. Nella realizzazione degli occhi Michelangelo perfezionò la tecnica di perforare le pupille affinché potessero evitare la luce e creare un gioco di ombre che rende gli occhi molto più penetranti.
Per evitare di porre il peso della statua sulla parte sinistra del blocco, più debole, Michelangelo appoggiò tutto il peso sulla gamba destra, rafforzata da un piccolo tronco che ha una funzione essenzialmente statica, come nella statuaria antica. La posa è quella tipica del contrapposto, che, tramandata anche nel medioevo, derivava dalcanone di Policleto.
Il corpo atletico, al culmine della forza giovanile, si manifesta tramite un accuratissimo studio dei particolari anatomici, dalla torsione del collo attraversato da una vena, alla struttura dei tendini, dalle venature su mani e piedi, alla tensione muscolare delle gambe, fino alla perfetta muscolatura del torso.
Per dare maggiore espressività e risalto Michelangelo ingrandì leggermente la testa e le mani, nodi cruciali, perfezionati armonicamente con la veduta privilegiata dal basso. Questo effetto si è attenuato in seguito al suo trasferimento nel museo dove la statua è stata collocata su un piedistallo più basso di 63 centimetri. In queste variazioni di proporzionamento si possono leggere anche motivazioni di carattere filosofico: la testa rappresenta la ragione, quindi il mezzo che permette all'uomo di pensare e di distinguersi dalle bestie; le mani sono invece lo strumento di cui la ragione si serve per operare.
La forza del David non proviene dalla fede religiosa in Dio, come altre versioni artistiche dell'eroe, gracile e quasi femmineo, sembrano avallare: la sua forza è assolutamente autogenerata ed autosufficiente.
Tra i riferimenti a statue precedenti gli storici colsero analogia coi Dioscuri di Montecavallo, con le rappresentazioni di Ercole su sarcofagi romani o sul pulpito del Battistero di Pisa di Nicola Pisano; per quanto riguarda l'opera michelangiolesca, precedenti legati al trattamento della capigliatura e all'espressione concentrata e fiera sono ravvisabili, sebbene in piccolo, nel San Procolo dell'Arca di San Domenico a Bologna o nel San Paolo dell'Altare Piccolomini a Siena.
L'ultimo intervento di restauro è del 2003. Sono state utilizzate nella fase di diagnosi metodi modernissimi, come la scansione al laser dell'intera superficie, per simulare le zone di maggiore esposizione alla pioggia e agli altri agenti atmosferici e inquinanti. IlDavid è stato diviso in 68 zone fotografate digitalmente ognuna delle quali è stata analizzata secondo quattro tipologie di problemi conservativi: difetti del marmo, depositi di materiali in superficie, rotture, residui di lavorazioni precedenti.
Per quanto riguarda la natura e la qualità del marmo, questo è attraversato da una grande quantità di venature e "taròli", inusuali nei marmi considerati buoni dagli artisti del XVI secolo; inoltre le zone maggiormente esposte alla pioggia (spalle, braccio destro, mano e piede sinistro) mostravano una erosione superficiale maggiore che nelle altre statue simili. Questa erosione è attribuibile anche in parte ai danni causati dall'incauto restauro del 1843 del Costoli, effettuato con metodi aggressivi, che arrivò a scavare la pelle del marmo in alcuni punti fino a 2 millimetri.
Vennero monitorati anche i "cretti", cioè le microscopiche crepe, concentrate all'altezza delle caviglie, apparse, secondo le fonti storiche, dopo il fulmine del 1512 e accentuate anche dal fatto che nella collocazione originaria la statua sporgeva di circa 28 centimetri rispetto al baricentro a causa del dissesto del terreno.
La statua inoltre mostrava ancora residui del calco in gesso, tracce di encausto steso in funzione protettiva nel 1813, macchie di cera depositata in occasione di cerimonie pubbliche durante i secoli di esposizione, e anche delle macchie brune di ossidi di ferro lasciati durante la costruzione di un gabbiotto protettivo nel 1872.
Alcuni particolari del David sono veri e propri rifacimenti di diverse epoche: parte della fionda e della mano destra sono successivi ai danneggiamenti del 1527, il dito medio della mano destra è del 1813, il mignolo del piede destro è del 1851.
Il lavoro di ripulitura del David è stato effettuato con tecniche molto semplici. I residui di gesso sono stati asportati con impacchi di acqua distillata su polpa di cellulosa e sepiolite con interposizione di carta giapponese. Le macchie di cera sono state asportate con un tampone imbevuto di un'essenza di petrolio, mentre l'encausto è stato eliminato meccanicamente con il bisturi e l'ausilio delmicroscopio. Con lo stesso sistema sono state tolte le stuccature della ricostruzione del braccio sinistro, sostituito da un impasto di calce e marmi polverizzati.
Oltre alla dovuta pulitura i restauratori hanno cercato di ottenere una maggiore uniformità cromatica e una migliore leggibilità al capolavoro michelangiolesco.
Il David ritrae l'eroe biblico nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia; fu originariamente collocata in piazza della Signoria a Firenze come simbolo della Repubblica fiorentina stessa, vigile e vittoriosa contro i nemici.
Il David è da sempre considerato l'ideale perfetto di bellezza maschile nell'arte.Così come la Venere del Botticelli è considerata il canone di bellezza femminile. Poiché entrambe le opere sono conservate a Firenze, i fiorentini si vantano di possedere i canoni della bellezza artistica all'interno delle mura cittadine. Molti artisti e grandi esperti di arte ritengono che il David sia l’oggetto artistico più bello che sia mai stato creato dall’uomo.
Il 16 agosto del 1501 i consoli dell'Arte della Lana e gli Operai del Duomo di Firenze commissionarono a Michelangelo una statua di Re Davide, da collocare in uno dei contrafforti esterni posti nella zona absidale della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Si trattava di un'impresa colossale, che non aveva precedenti nell'arte rinascimentale, e che era già stata tentata due volte. L'enorme blocco di marmo bianco destinato all'opera era infatti già stato abbozzato prima da Agostino di Duccio nel 1463-1464 e poi da Bernardo Rossellino nel 1476, ma poi abbandonato da entrambi per le caratteristiche non ottimali del pezzo: si trattava di un problema di fragilità, dovuta alla scarsa qualità del marmo, e di forma del blocco, considerato troppo alto e stretto, insufficiente per un pieno sviluppo anatomico di una figura di tali dimensioni. Il blocco era specialmente friabile nella zona sotto l'attuale braccio sinistro, e si temeva che una volta scolpito non fosse in grado di reggere il peso della figura sulle sole gambe.
Nonostante le fonti tacciano al riguardo, è lecito pensare che il blocco dovesse presentare già alcune forme antropomorfe, per quanto parziali, tanto che i fiorentini erano soliti già chiamarlo "il Gigante".
Nonostante le difficili premesse Michelangelo, allora poco più che venticinquenne, non si scoraggiò e, conscio dell'enorme prestigio che gli avrebbe garantito un successo, accettò la sfida, affrontando il blocco che era definito "male abbozatum et sculptum", all'interno dell'Opera (l'attuale cortile del Museo dell'Opera del Duomo).
L'inizio del lavori di Michelangelo risale al 9 settembre 1501, quando l'artista provò la durezza del blocco sbozzandolo con qualche colpo di scalpello, per poi mettersi effettivamente all'opera il 13. Il 14 ottobre, probabilmente disturbato dagli occhi indiscreti di chi voleva vedere "il gigante" in lavorazione, fece costruire un recinto di tavole attorno al suo campo di lavoro.
Pare che il soggetto fosse già stato predefinito come nudo e in un'iconografia innovativa, senza la testa di Golia ai piedi (come nel David di Donatello e in quello diVerrocchio), quindi prima della micidiale sfida.
Il marmo presentava numerose venature dette "taròli", che Michelangelo provvide a stuccare e ricoprire con malta di calce restituendo alla superficie la levigatezza tipica delle sue sculture giovanili.
Vi lavorò per un totale di tre anni, creando un'opera leggendaria che conteneva nella sua vicenda tutte le premesse per il mito: l'enorme difficoltà tecnica, l'innegabile bellezza del risultato, capace di togliere il fiato ancora ai giorni nostri, e le numerose vicende che ne hanno segnato la storia.
L'esecuzione dovette essere circondata da un'aura di mistero e trepidante attesa nei fiorentini, consci dei successi romani dell'artefice e curiosi di sapere l'esito di una prova così difficoltosa. Lo stretto riserbo venne sciolto solo la vigilia della festa di San Giovanni, patrono cittadino, il 23 giugno 1503, quando venne aperto il recinto e invitata la popolazione ad ammirare il capolavoro ormai in via di completamento.
Il 25 gennaio 1504 la statua viene definita "quasi finita" e si procedette a nominare una commissione per deciderne la collocazione.
Era infatti chiaro che il risultato superava di gran lunga le aspettative e non era più adatto per i contrafforti del Duomo, ma idoneo piuttosto a una collocazione più ambiziosa, in piazza dei Priori, il cuore della vita politica cittadina: ciò venne proposto dal Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini, evidentemente rifacendosi a un proposito dello stesso Michelangelo, trasferendo il valore simbolico del David da un contesto religioso ad uno civile. Evidentemente le autorità repubblicane avevano immediatamente colto la forte simbologia politica del David: egli incarnava la figura del giusto che, armato di sola fionda e della fede in Dio, riesce a prevalere sul forte ma iniquo, immagine facilmente accostabile a quella di un buon governo, garante delle libertà e del bene comune, protetto dal favore divino. Non si poteva chiedere una migliore "insegna" per la Repubblica appena restaurata e per i suoi valori, dopo un periodo di forti turbolenze.
Nella commissione che doveva scegliere il luogo di esposizione dell'opera figuravano, tra gli altri, tutti gli artisti famosi attivi in città: Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Leonardo da Vinci, Pietro Perugino, Lorenzo di Credi, Antonio e Giuliano da Sangallo, Simone del Pollaiolo, Andrea della Robbia, Cosimo Rosselli, Davide Ghirlandaio, Francesco Granacci, Piero di Cosimo, Andrea Sansovino. Le ipotesi plausibili erano diverse: Botticelli, isolatamente, preferiva una collocazione nei pressi del Duomo; l'araldo del Comune, sostenuto in primis da Filippino Lippi, prevedeva una collocazione a lato della porta principale di Palazzo Vecchio, affacciata sulla piazza; altri suggerirono anche al centro del suo cortile; un'altra strada indicava invece una collocazione sotto la Loggia della Signoria.
Le ragioni della seconda opzione, proposta da Giuliano da Sangallo, erano essenzialmente conservative. A questa idea aderì Leonardo da Vinci, che prese parola per suggerire una collocazione dell'opera a ridosso della parete breve della loggia, incorniciata da una nicchia, "in modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali". Si trattava di un'ipotesi che relegava la statua in posizione defilata, equivocandone l'essenza fisica e ribaltandone i valori formali, in cui si è voluto leggere uno spunto polemico tra i due geni, tra i quali dovevano correre pessimi rapporti. Leonardo infatti scrisse che non apprezzava gli "eccessi" anatomici che fanno parte dello stile michelangiolesco e dei suoi seguaci, pur senza mai citare direttamente il rivale: in uno schizzo che fece del David si vede chiaramente come l'enfasi muscolare, calata nel suo stile morbido e soffuso, appare quanto mai retorica e fuori luogo.
In ogni caso la posizione leonardesca rimase minoritaria, optando infine per una collocazione di massimo risalto all'aperto, dominante e autorevole davanti a Palazzo Vecchio, al posto della Giuditta di Donatello.
Alla fine prevalse la posizione di Filippino.
L'enorme statua venne trasportata in quattro giorni fino al 18 maggio 1504, con una partecipazione di più di quaranta uomini, incaricati di trainare e sorvegliare lo scorrimento all'interno di una gabbia lignea, che teneva il marmo prudentemente staccato dal fondo, scorrendo su travi unte di grasso di sévo, per evitare al massimo vibrazioni che potessero danneggiarlo.
Durante il tragitto, in una pausa notturna un gruppo di giovani fedeli alla fazione filo-medicea, estromessa dal potere, aggredì la statua prendendola a sassate, in quanto simbolo riconosciuto del governo repubblicano: il valore simbolico dell'opera era già estremamente evidente.
Michelangelo rifinì la statua sul posto dipingendo in oro il tronco d'albero dietro la gamba destra e aggiungendo delle ghirlande di ottone con foglie in rame dorato che cingevano la testa e la cinghia della fionda.
La Giuditta venne spostata sotto la loggia l'8 giugno. Pochi giorni dopo, l'11, venne affidata l'esecuzione di una base adeguata a Simone del Pollaiolo e Antonio da Sangallo, così che l'8 settembre di quell'anno il Davidpoteva essere collocato al suo posto, "fornito e scoperto di tutto", esposto tuttavia agli agenti atmosferici. Il David venne rivolto a sud-ovest, in segno di sfida alle popolazioni nemiche pronte ad attaccare Firenze. Accanto a lui doveva essere posta anche un'altra statua, raffigurante Ercole, a simboleggiare la forza sia fisica (Ercole) che intellettuale (David) dei fiorentini e della Signoria, ma questa seconda statua non fu mai realizzata da Michelangelo e solo in seguito venne scolpita da Baccio Bandinelli.
Allo scultore vennero pagati, in tutto, 400 fiorini.
Il successo del David di Michelangelo fu immediato. L'umanista Pomponio Gaurico nel suo dialogo De Sculptura del 1504 lo porta come esempio di arte eccelsa, lo stesso fece Benedetto Varchi anni dopo mentre a testimonianza del mito che la statua incarnava nella cultura umanistica rinascimentale valgono le parole di Giorgio Vasarinelle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori nell'edizione del 1550 «[...] e veramente che questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si fossero [...] perché in essa sono contorni di gambe bellissime et appiccature e sveltezza di fianchi divine; né mai più s'è veduto un posamento sí dolce né grazia che tal cosa pareggi, né piedi, né mani, né testa che a ogni suo membro di bontà d'artificio e di parità, né di disegno s'accordi tanto. E certo chi vede questa non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o ne gli altri da qualsivoglia artefice».
Sin dai tempi della sua prima apparizione la statua del David venne celebrata come l'opera capace di mutare il gusto estetico del suo tempo e di affermarsi quale espressione ideale del Rinascimento, tutto questo grazie all'applicazione dello studio anatomico al fine di rendere con forme virili possenti e armoniche l'immagine del nudo eroico, la cui forma era la realizzazione fisica, di un complesso insieme di valori filosofici ed estetici. I Fiorentini si immedesimarono con l'aspetto atletico e fiero del giovane eroe interpretandolo come espressione della forza e della potenza della città stessa nel momento del suo massimo splendore, per i sostenitori della Repubblica divenne il simbolo della vittoria della democrazia sulla tirannide esercitata in precedenza dalla famiglia Medici.
Nel 1512 una saetta colpì il basamento, che preoccupò per le "crettature", cioè i segni di cedimento, all'altezza delle caviglie, ma in definitiva non ci furono danni.
Il 26 aprile del 1527 durante la seconda cacciata dei Medici da Firenze ci furono dei tumulti in città e un gruppo di repubblicani, asserragliati in Palazzo Vecchio, per difendersi dagli oppositori lanciarono dalle finestre pietre, tegole e mobili, che andarono a cadere anche sul David, causando gravi danni, quali la frantumazione del braccio sinistro in tre pezzi e la scheggiatura della fionda all'altezza della spalla. Giorgio Vasari e Francesco Salviati, devoti estimatori di Michelangelo, raccolsero personalmente i frammenti della statua e li nascosero in casa del Salviati. Con il ritorno del Granduca Cosimo I si provvide al restauro. I segni dell'episodio sono ancora visibili.
Nel 1813 il dito medio della mano destra fu ricostruito in seguito a un danneggiamento. Nel 1843 lo scultore Lorenzo Bartolini, direttore delle "Regie Fabbriche", incaricò Aristodemo Costoli del restauro, che fu eseguito con un metodo drastico di pulitura a base di acido cloridrico e di ferri taglienti per togliere le croste superficiali, intervento che nel corso degli anni si rivelò nefasto per i danni irreparabili alla superficie del marmo.
Il 29 agosto 1846 il fonditore Clemente Papi fece il calco in gesso che servì poi come base della futura gettatura in bronzo della copia che attualmente si trova in piazzale Michelangelo, sulla terrazza che domina Firenze.
Nel 1872 viste le condizioni precarie di conservazione fu deciso il ricovero della statua nella Galleria dell'Accademia a Firenze. Per accogliere la grande statua venne incaricato l'architettoEmilio De Fabris di costruire una nuova Tribuna scenograficamente posta al termine della Galleria dei Quadri antichi, con un'illuminazione propria, garantita in alto da un lucernario. Nell'agosto del 1873 la statua venne imbracata in un complesso carro ligneo, il cui modellino è visibile nel museo della Casa Buonarroti, e scorse su rotaie per le vie del centro fino all'Accademia, ancora una volta tra imponenti misure di sicurezza, accompagnata dal clamore popolare.
Nel museo restò però chiusa nella sua cassa per ben nove anni, in attesa del termine dei lavori alla Tribuna. Nel 1875, con le celebrazioni del IV centenario della nascita di Michelangelo si decise di creare una mostra con le riproduzioni in gesso dei suoi capolavori scultorei, e per l'occasione il David venne spacchettato provvisoriamente, entro la tribuna allestita con tendaggi che coprissero la zona al di sopra della trabeazione ancora in fase di edificazione.
Il 22 luglio 1882 il Museo michelangiolesco venne finalmente inaugurato e la statua rivelata alla fruizione del pubblico.
In piazza della Signoria venne collocata una copia nel 1910.
Nel 1991 un folle, Piero Cannata, danneggiò la statua con un martello, come era accaduto circa vent'anni prima alla Pietà vaticana. In confronto a quell'atto vandalico però, i danni al David furono assai più limitati, scheggiando l'alluce e le prime due dita del piede sinistro, che venne subito completato adoperando i frammenti originali e servendosi dei numerosi calchi esistenti per reintegrare la lacuna in maniera esatta.
Una nuova copia della statua è stata offerta dalla città di Firenze alla città di Gerusalemme nel 2004 per celebrare il terzo millennio dalla conquista della città da parte di David. La proposta ha scatenato la protesta di alcuni religiosi ortodossi che consideravano il nudo michelangiolesco non degno di un eroe biblico e anzi troppo vicino ad un ideale estetico classicista e dunque pagano; alla fine un compromesso è stato raggiunto, optando per una riproduzione totalmente vestita.
A partire dal 2003 è stato sottoposto ad un accuratissimo lavaggio e restauro a cura del laboratorio di restauro dell'Opificio delle pietre dure di Firenze (vedi sezione sottostante). Questo lungo lavoro è stato realizzato per celebrare il cinquecentenario della realizzazione dell'opera nel 2004. Al termine dei lavori sono stati esposti accanto al David opere ed installazioni di artisti contemporanei internazionali (fra i quali Jannis Kounellis), con un accostamento molto originale che ha suscitato clamore e interesse in tutto il mondo.
Nel 2008 il Comune di Firenze, guidato dall'allora sindaco Leonardo Domenici, propose un nuovo trasferimento del David per decongestionare il turismo nel centro cittadino, proponendo come sede alternativa la Stazione Leopolda. La proposta, presa più che altro come una provocazione, non venne ascoltata, ma fu all'origine di un contenzioso tuttora aperto tra Comune e Stato.
Con ricerche d'archivio fatte in quell'occasione, saltò infatti fuori che nell'atto di donazione di Palazzo Vecchio dallo stato al Comune (1871) era incluso l'Arengario (cioè la platea rialzata davanti al palazzo) e tutte le statue presenti, compreso quindi il David. Ciò ha indotto il neo-eletto sindaco Matteo Renzi a intraprendere una contesa legale con lo Stato rivendicando la proprietà della statua, che a oggi frutta circa 8 milioni d'euro all'anno in introiti legati agli ingressi alla Galleria dell'Accademia e al merchandising.
Dal canto suo lo Stato ha risposto, tramite i suoi legali, che la statua non era compresa nella donazione, non essendo elencata negli inventari, poiché era già sottinteso il suo trasferimento all'Accademia, al quale infatti il Comune allora non si oppose.
Il soggetto del David, fortemente radicato nella tradizione figurativa fiorentina, venne rielaborato evitando gli schemi compositivi consolidati, scegliendo di rappresentare il momento di concentrazione prima della battaglia. I muscoli del corpo sono poderosi ma ancora a riposo, tuttavia capaci di trasmettere il senso di una straordinaria potenza fisica. L'espressione accigliata e lo sguardo penetrante rivelano la forte concentrazione mentale, manifestando quindi la potenza intellettuale che va a sommarsi a quella fisica.
L'eroe biblico è rappresentato nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia, il gigante filisteo; nella mano destra, infatti, stringe il sasso con il quale sconfiggerà il nemico da lì a poco. Lo sguardo fiero e concentrato è rivolto al nemico, con le sopracciglia aggrottate, le narici dilatate e una leggera smorfia sulle labbra che forse tradisce un sentimento di disprezzo verso Golia. Nella realizzazione degli occhi Michelangelo perfezionò la tecnica di perforare le pupille affinché potessero evitare la luce e creare un gioco di ombre che rende gli occhi molto più penetranti.
Per evitare di porre il peso della statua sulla parte sinistra del blocco, più debole, Michelangelo appoggiò tutto il peso sulla gamba destra, rafforzata da un piccolo tronco che ha una funzione essenzialmente statica, come nella statuaria antica. La posa è quella tipica del contrapposto, che, tramandata anche nel medioevo, derivava dalcanone di Policleto.
Il corpo atletico, al culmine della forza giovanile, si manifesta tramite un accuratissimo studio dei particolari anatomici, dalla torsione del collo attraversato da una vena, alla struttura dei tendini, dalle venature su mani e piedi, alla tensione muscolare delle gambe, fino alla perfetta muscolatura del torso.
Per dare maggiore espressività e risalto Michelangelo ingrandì leggermente la testa e le mani, nodi cruciali, perfezionati armonicamente con la veduta privilegiata dal basso. Questo effetto si è attenuato in seguito al suo trasferimento nel museo dove la statua è stata collocata su un piedistallo più basso di 63 centimetri. In queste variazioni di proporzionamento si possono leggere anche motivazioni di carattere filosofico: la testa rappresenta la ragione, quindi il mezzo che permette all'uomo di pensare e di distinguersi dalle bestie; le mani sono invece lo strumento di cui la ragione si serve per operare.
La forza del David non proviene dalla fede religiosa in Dio, come altre versioni artistiche dell'eroe, gracile e quasi femmineo, sembrano avallare: la sua forza è assolutamente autogenerata ed autosufficiente.
Tra i riferimenti a statue precedenti gli storici colsero analogia coi Dioscuri di Montecavallo, con le rappresentazioni di Ercole su sarcofagi romani o sul pulpito del Battistero di Pisa di Nicola Pisano; per quanto riguarda l'opera michelangiolesca, precedenti legati al trattamento della capigliatura e all'espressione concentrata e fiera sono ravvisabili, sebbene in piccolo, nel San Procolo dell'Arca di San Domenico a Bologna o nel San Paolo dell'Altare Piccolomini a Siena.
L'ultimo intervento di restauro è del 2003. Sono state utilizzate nella fase di diagnosi metodi modernissimi, come la scansione al laser dell'intera superficie, per simulare le zone di maggiore esposizione alla pioggia e agli altri agenti atmosferici e inquinanti. IlDavid è stato diviso in 68 zone fotografate digitalmente ognuna delle quali è stata analizzata secondo quattro tipologie di problemi conservativi: difetti del marmo, depositi di materiali in superficie, rotture, residui di lavorazioni precedenti.
Per quanto riguarda la natura e la qualità del marmo, questo è attraversato da una grande quantità di venature e "taròli", inusuali nei marmi considerati buoni dagli artisti del XVI secolo; inoltre le zone maggiormente esposte alla pioggia (spalle, braccio destro, mano e piede sinistro) mostravano una erosione superficiale maggiore che nelle altre statue simili. Questa erosione è attribuibile anche in parte ai danni causati dall'incauto restauro del 1843 del Costoli, effettuato con metodi aggressivi, che arrivò a scavare la pelle del marmo in alcuni punti fino a 2 millimetri.
Vennero monitorati anche i "cretti", cioè le microscopiche crepe, concentrate all'altezza delle caviglie, apparse, secondo le fonti storiche, dopo il fulmine del 1512 e accentuate anche dal fatto che nella collocazione originaria la statua sporgeva di circa 28 centimetri rispetto al baricentro a causa del dissesto del terreno.
La statua inoltre mostrava ancora residui del calco in gesso, tracce di encausto steso in funzione protettiva nel 1813, macchie di cera depositata in occasione di cerimonie pubbliche durante i secoli di esposizione, e anche delle macchie brune di ossidi di ferro lasciati durante la costruzione di un gabbiotto protettivo nel 1872.
Alcuni particolari del David sono veri e propri rifacimenti di diverse epoche: parte della fionda e della mano destra sono successivi ai danneggiamenti del 1527, il dito medio della mano destra è del 1813, il mignolo del piede destro è del 1851.
Il lavoro di ripulitura del David è stato effettuato con tecniche molto semplici. I residui di gesso sono stati asportati con impacchi di acqua distillata su polpa di cellulosa e sepiolite con interposizione di carta giapponese. Le macchie di cera sono state asportate con un tampone imbevuto di un'essenza di petrolio, mentre l'encausto è stato eliminato meccanicamente con il bisturi e l'ausilio delmicroscopio. Con lo stesso sistema sono state tolte le stuccature della ricostruzione del braccio sinistro, sostituito da un impasto di calce e marmi polverizzati.
Oltre alla dovuta pulitura i restauratori hanno cercato di ottenere una maggiore uniformità cromatica e una migliore leggibilità al capolavoro michelangiolesco.
Pietà
Grazie sempre all'intermediazione di Jacopo Galli, Michelangelo ricevette altre importanti commissioni in ambito ecclesiastico, tra cui forse la Madonna di Manchester, la tavola dipinta della Deposizione per Sant'Agostino, forse il perduto dipinto con le Stimmate di san Francesco per San Pietro in Montorio, e, soprattutto, una Pietà in marmo per la chiesa di Santa Petronilla, oggi inSan Pietro.
Quest'ultima opera, che suggellò la definitiva consacrazione di Michelangelo nell'arte scultorea - ad appena ventidue anni - era stata commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères Lagranlos, ambasciatore di Carlo VIIIpresso papa Alessandro VI, che desiderava forse adoperarla per la propria sepoltura. Il contatto tra i due dovette avvenire nel novembre 1497, in seguito al quale l'artista partì alla volta di Carrara per scegliere un blocco di marmo adeguato; la firma del contratto vero e proprio si ebbe poi solo nell'agosto del1498. Il gruppo, fortemente innovativo rispetto alla tradizione scultorea dellePietà tipicamente nordica, venne sviluppato con una composizione piramidale, con la Vergine come asse verticale e il corpo morto del Cristo come asse orizzontale, mediate dal massiccio panneggio. La finitura dei particolari venne condotta alle estreme conseguenze, tanto da dare al marmo effetti di traslucido e di cerea morbidezza. Entrambi i protagonisti mostrano un'età giovane, tanto che sembra che lo scultore si sia ispirato al passo "Figlia di tuo figlio".
La Pietà fu importante nell'esperienza artistica di Michelangelo non solo perché fu il suo primo capolavoro ma anche perché fu la prima opera da lui fatta in marmo di Carrara, che da questo momento divenne la materia primaria per la sua creatività. A Carrara l'artista manifestò un altro aspetto della personalità: la consapevolezza del proprio talento. Lì infatti acquistò non solo il blocco di marmo per laPietà, ma anche diversi altri blocchi, nella convinzione che - considerato il suo talento - le occasioni per utilizzarli non sarebbero mancate. Cosa ancora più insolita per un artista di quei tempi, Michelangelo si convinse che per scolpire le proprie statue non aveva bisogno di committenti: avrebbe potuto scolpire di propria iniziativa opere da vendere una volta terminate. In pratica Michelangelo diventava un imprenditore di sé stesso e investiva sul proprio talento senza aspettare che altri lo facessero per lui.
Quest'ultima opera, che suggellò la definitiva consacrazione di Michelangelo nell'arte scultorea - ad appena ventidue anni - era stata commissionata dal cardinale francese Jean de Bilhères Lagranlos, ambasciatore di Carlo VIIIpresso papa Alessandro VI, che desiderava forse adoperarla per la propria sepoltura. Il contatto tra i due dovette avvenire nel novembre 1497, in seguito al quale l'artista partì alla volta di Carrara per scegliere un blocco di marmo adeguato; la firma del contratto vero e proprio si ebbe poi solo nell'agosto del1498. Il gruppo, fortemente innovativo rispetto alla tradizione scultorea dellePietà tipicamente nordica, venne sviluppato con una composizione piramidale, con la Vergine come asse verticale e il corpo morto del Cristo come asse orizzontale, mediate dal massiccio panneggio. La finitura dei particolari venne condotta alle estreme conseguenze, tanto da dare al marmo effetti di traslucido e di cerea morbidezza. Entrambi i protagonisti mostrano un'età giovane, tanto che sembra che lo scultore si sia ispirato al passo "Figlia di tuo figlio".
La Pietà fu importante nell'esperienza artistica di Michelangelo non solo perché fu il suo primo capolavoro ma anche perché fu la prima opera da lui fatta in marmo di Carrara, che da questo momento divenne la materia primaria per la sua creatività. A Carrara l'artista manifestò un altro aspetto della personalità: la consapevolezza del proprio talento. Lì infatti acquistò non solo il blocco di marmo per laPietà, ma anche diversi altri blocchi, nella convinzione che - considerato il suo talento - le occasioni per utilizzarli non sarebbero mancate. Cosa ancora più insolita per un artista di quei tempi, Michelangelo si convinse che per scolpire le proprie statue non aveva bisogno di committenti: avrebbe potuto scolpire di propria iniziativa opere da vendere una volta terminate. In pratica Michelangelo diventava un imprenditore di sé stesso e investiva sul proprio talento senza aspettare che altri lo facessero per lui.